Pace e interculturalità
Una riflessione filosofica
Il dialogo tra persone e gruppi umani non è un “dato di fatto”. È semmai un orizzonte che attualmente va delineandosi. Il “dato di fatto” reale è la situazione di pluralismo in cui si trova correntemente l’umanità. Esso rappresenta infatti «il vero interrogativo pratico della coesistenza umana sulla terra»: in generale, è dato dal riconoscimento simultaneo di due condizioni: a) che è impossibile evitare l’interferenza reciproca, pur nella evidente incompatibilità di diversi punti di vista; b) che questa incompatibilità genera sofferenza.
Panikkar ci propone una “riflessione filosofica”: si tratta infatti di ripensare integralmente la natura dialogale delle pratiche e delle ricerche filosofiche, o di rileggere in questa luce il compito del pensare filosofico. Forse, il pluralismo filosofico è stato accettato in occidente da qualche secolo, ciononostante l’autentica comprensione dell’orizzonte dialogale del pensiero non è ancora emersa integralmente nella tradizione filosofica. In ogni caso, qui la sfida per il pensiero filosofico è di ritrovare una inter-connessione aperta e vivente con le esperienze culturali degli esseri umani. La sfida è di riportare il pensiero ad un legame con quel dilemma vissuto ed esperienziale perché possiamo prendercene cura.
Semplificando, sono due le estreme posizioni ricorrenti: a) il tentativo di cancellare la differenza culturale (monoculturalismo); b) l’accettazione di una molteplicità caotica e la riduzione all’incomprensibilità ed all’incomunicabilità (relativismo culturale). Panikkar ci mostra che occorre cercare vie nuove che tengano conto e dell’esigenza di unità e dell’esigenza di diversità.
Ecco la questione filosofica nella sua “nudità”. Occorre una metanoia dei nostri paradigmi di conoscenza (oltre l’epistemologia del “cacciatore”). Occorre l’esplorazione di un pensiero aduale, advaita. Tale metanoia inoltre non può essere una semplice operazione intellettiva: occorre ritessere la connessione, lo Hieros Gamos tra conoscenza e amore (di per sé la filosofia dovrebbe già esserne consapevole, essendo il suo etimo piuttosto “saggezza dell’amore” che “amore della saggezza”).
La filosofia interculturale è una filosofia imparativa: aperta all’esplorazione del possibile, del non-ancora-dato. Non esiste né può esistere una procedura predeterminata o predefinita per l’esperienza della intercultura. «Non vi è una piattaforma metaculturale muovendo dalla quale si può giungere a un’interpretazione di culture, poiché ogni interpretazione è la nostra interpretazione». Intercultura è uno spazio-soglia che non può essere superato per definire una “sovracultura”. Dev’essere piuttosto abitato in tensione permanente nella ricerca di armonia e concordia nella differenza, varietà e pluriformità, oltre che nella ricerca di verità. È la scoperta della relatività, ossia della “relazionalità radicale” dell’esperienza umana nella vita.
La filosofia interculturale ha come metodo quello del dialogo dialogale. Esso è strutturalmente distinto dal dialogo dialettico (arena), in cui si presume che la ragione calcolante possa funzionare da “giudice” esterno. Le regole del dialogo interculturale (dialogale) non possono essere predefinite o presupposte in alcun modo prima del dialogo stesso: è “un comune avventurarsi verso l’ignoto”, un vivere insieme l’agorà. Il criterio è il dialogo stesso e i suoi interpreti sono gli stessi dialoganti», in una insuperabile dimensione pratica. Così il dialogo si trasforma in duologo dialogale. Esso è atto religioso per eccellenza, e insieme anche esercizio filosofico e spirituale.
La filosofia interculturale non ha un suo specifico linguaggio. Essa non può privilegiare alcun linguaggio (alcuna religione, alcuna cultura).
Il “punto di partenza” suggerito quindi è quello di moltiplicare i duologhi tra traduttori: il che evidentemente non comporta l’affidare a specialisti della mediazione culturale e men che meno della mediazione linguistica questo compito… In realtà la sfida è che tutti esploriamo altri territori ed altri incontri, e diveniamo trapiantatori capaci di comprendere oltre ai testi anche i contesti, capaci di amore per le culture altre che incontriamo, e di sentire lo spirito delle lingue non materne che cerchiamo di imparare.
Nove sutra sulla pace concludono l’opera.
Fulvio Manara